venerdì 2 novembre 2012

Seasons - una volta ho giocato a Magic.

Effetti di Seasons sulla popolazione
impreparata. Sarà dura spiegare ai
genitori del ragazzo che non potranno
più riaverlo com'era prima.
[Prime impressioni]

[il Puzzillo]

Ovviamente ad attirarci al tavolo dell'Asterion, che presenta questo loro nuovo lavoro (di traduzione), sono stati due elementi fondamentali della qualità ludica: il colore e la carineria della dimostratrice.

Così conquistati abbiamo subìto la lunga spiegazione del regolamento, una di quelle in grado di disorientare uno sherpa, per scoprire che si tratta di un effetto cipolla: fuori sembra difficile, poi capisci che è facile, poi vedi che in realtà è complesso, ma che in fondo è piuttosto semplice e infine quantomeno ti ha fatto piangere.

Seasons ha un livello d'ingresso da campione di limbo, inizialmente si chiede infatti un draft di carte e una suddivisione in mazzetti preventiva validi per ogni l'intera partita. Una programmazione taglia gambe che rende il gioco non esattamente lo strumento idoneo per farsi nuovi amici.
Diverso il discorso per i gruppi che ne vengano a contatto più o meno contemporaneamente, e la cui forma mentis sia originaria del periodo d'oro di Magic.
- E' un combo-game!
Afferma l'editore, quasi convinto che in qualche modo questo possa avere una valenza positiva, col sorriso teso di chi spera che non si notino gli sforzi per mascherare la sostituzione di parole come "mana" e "tappare".

A colpirci dunque, oltre la dimostratrice, sono stati i componenti, ad esempio il testo in corpo 4 utilizzato sulle carte per far cavare gli occhi agli over trenta, elemento che il mio nuovo bastone bianco ha molto apprezzato. Altrettanto le piccole plancettine dei giocatori, ben sagomate per ospitare persino il dadone del turno selezionato, ma che riportano dei numerini cerchiati uno di fila all'altro che dovrebbero rappresentare una scala di valori di cui tener conto con cubetti di legno vagamente sovradimensionati, una cosa che, prima di vederla funzionare, te la guardi come guardavi Raoul e Julia, cercando di capire come avrebbe potuto "funzionare". Un pizzico meglio la plancia segnapunti, che comunque con cubetti in costante movimento appoggiati lì, mentre attorno ruzzolano voluttuosi coloratissimi dadi, sembra un po' un villaggio indiano in un film di cowboy.

A dispetto di tanta piccolezza il gioco riesce ad occupare, per quattro giocatori, lo stesso tavolo di uno striminzito Eclipse, come farsi una smart e parcheggiarla in un aeroporto di provincia, tanto che fino al trovarsi di una tacita soluzione comune, gli sguardi imbarazzati tra giocatori e verso la disperazione del più sfortunato di loro, quello che vorrebbe lanciare i dadi sul tavolo senza poi per questo essere chiamato Gozer "il distruggitore dei tavoli da gioco", la fanno da padrone.

Il gioco scorre a singhiozzo, tra colpi di fortuna e distrazione generale, mentre i turni avanzano in maniera irregolare a seconda della "non scelta" dei giocatori ad ogni draft dei risultati dei dadi lanciati da Gozer. Poche le azioni possibili, scelto il dado si conquistano le risorse (mana), gli slot per le carte giocate o i cristalli (punti), indicati dal dado e, se possibile, si gioca una delle poche carte a disposizione applicandone gli effetti, che siano istantanei o costanti. Ma sconfessando ancora la'ovvietà, nonostante queste premesse il gioco, dopo i primi turni, riesce a dilatare le durate, rendendo l'imprevedibile downtime complementare alla durata totale della partita, decisamente elevato rispetto alle aspettative per la tipologia di gioco.

L'impressione è che dello sforzo per l'impostazione strategica iniziale, rimanga un controllo limitato, portato più ad un'arte di arrangiarsi che ad un arte di concetto, come direbbe un amico dopo un peto inodore: "tanto rumore per nulla"e, generalmente, godendo dei risultati per lo più con sé stessi, che la sensazione d'interazione è piuttosto disinteressata.

A noi scotta la delusione di una dimostratrice che in realtà dimostrava Dobble, lasciandoci alle prese con un gioco ormai privato di metà del suo fascino. Ma data la nostra semplicità, magari quei colori ci regaleranno altre e più profonde delusioni, una volta provato ancora.

1 commento:

  1. L'ho regalato alla mia bella, se non piace il gioco almeno piacciono le illustrazioni.
    Carino è carino, qualche dubbio sulla longevità, mentre sul rapporto fortuna/controllo effettivamente è una cosa che varia da turno a turno e il gioco mi sembra dichiaratamente non bilanciato ma vuoi che non esiste una sola strategia per fare più punti degli avversari, vuoi che non sono tipo che se c'è un minimo di fattore alea si mette a sbuffare come le piritiere sulle sedie dei nonni a carnevale, non mi dà fastidio più di tanto. Avrebbero potuto usare dei dischetti come segnapunto e segnaaltro, i cubetti sono scomodi e mi stanno un po' sul...

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