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| Leonardo foto (noto nell’ambiente per l’evocativo cognome) ci offre questo scorcio seppia (il seppia è a metà tra colore vero e bianco e nero, più artistico del primo e comunque meno impegnativo del secondo, lo scorcio però è di traverso, e il traverso è molto artistico, quasi dannato) della versione più turisticamente orientale della nostra amica (o almeno spero per qualcuno di noi che lo sia) Adele Brandaglia, mai in questa immagine così tanto come in questa immagine. |
Titolo: Tokaido
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fa schifo”, al più si può dire “non mi piace”, ecco, Tokaido non
mi piace al cazzo.
donne”, “come fosse antani con scappellamento a destra mentre gli
uomini giocano a giochi veri”. Le definizioni per un gioco del genere si
sprecano, nel senso di tempo, tempo sprecato.
dominante del tabellone, un concentrato di nulla volto a rappresentare il
contenuto del gioco stesso e in grado di rassicurare gli animi più pavidi.
Durante Play si è vista persino una madre non ritrarre la figlia a strattoni
dal tavolo, come invece di consueto avviene.
pastello da mercatino giapponese: Una vecchia bretone con un cappello e un
ombrello di carta di riso e canna di bambù, sushi e sashimi, qualcosa che rende
più l’esperienza di uno shopping folcloristico che non di un gioco competitivo.
circonvenzione d’incapace. L’opera di Bauza infatti tenta di raschiare il fondo
del barile dell’umanità, andando a pescare quelli a cui l’accesso a 7 Wonders è
stato negato dalle proprie facoltà mentali.
discosta dal suo più popolare 7 Wonders e ripiega semplicemente sulla
semplificazione, colpito dal morbo di Disney trasforma le carte blu che danno
da due a tanti punti in carte celesti che danno da due a tre punti, poi ricicla
i sistemi di punteggio del set collection (badando bene di illustrarli
praticamente caso per caso, che nemmeno la pubblicità su come
apporre la X nelle schede elettorali) e riduce quel brutto coso che era il
draft, anche detto “Mostro della Scelta” dai babani, relegandolo a un
ruolo più marginale di quello di Stan Lee in Ironman 3.
sono una roba troppo grande e troppo storica per quelli che, appena usciti
dalla comunità di recupero, siano caduti in un negozio di giochi, anzi è lì
pronta una variante che suggerisce di non utilizzare nemmeno il personaggio che
concede un “potere speciale”. Il “potere” fa paura (una
versione pavida di “siamo la gente il potere ci temono”) e
“speciale” ce li chiamava la mamma, quindi via.
Per dare sicurezza invece è sempre presente la possibilitàdi “prendere tre monete”, il classico non tradisce mai, come non
tradiscono mai le caselle di gioco, che offrono vantaggi sotto qualsiasi forma
possibile, in modo che il giocatore non sia mai deluso, anzi ricompensandolo
fino alla fine per aver fatto ciò che non poteva evitare di fare: andare
avanti.
sull’unica linea che è il percorso di gioco (hai visto mai dovesse apparire il
Mostro della Scelta), prendendo di volta in volta il bonus o la carta relativi
alla casella. Avanti, piano, fino alla cassa, dove si pagano i conti e
s’incassano i buoni.
Tapioca.







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