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Giulia Presti immortalata da Paolo Cellammare.
Sì, è vera. Almeno credo. L’ho vista da una
distanza tale da poter credere alla sua esistenza. |
Titolo: Le Leggende di Andor
Anno: 2012
Autore: Michael Menzel (il “oh mio dio perché” del game design)
Editore: Giochi Unti
Tipo: gioco da tavolo
Genere: solitario di gruppo
Tema: non tanto fantasy
Meccanica: annoiarsi, portare in giro
Giocatori: 2-4 (ossia uno)
Durata: 90’/120′
Difficoltà: 2/5
Dipendenza dalla lingua: basta una persona al tavolo che sappia tradurre.
Illustratori: Michael Menzel (il “me ne dia tutti” dell’illustrazione per giochi da tavolo)
Gallery
[il Puzzillo]
Premettiamo, se non si fosse compreso dalla scheda, che stiamo trattando un collaborativo puro, uno di quei giochi in cui ognuno fa qualcosa che gli viene detto da qualcun’altro che capisce di più (o è solo più petulante) o, nella migliore delle ipotesi, compie semplicemente l’azione più sensata. In due parole quel tipo di gioco dove qualunque giocatore oltre il primo è più superfluo di una vuvuzela per trote.
Per cominciare incontriamo un regolamento scritto in gran parte sulle carte delle varie avventure, ma con intervallati riferimenti alle quattro pagine di regolamento invece poste su manuale, tanto per confondere le idee a giocatori che invece vengono introdotti come fossero ritardati focomelici, con un primo obiettivo che è “muovi fino al castello”, ossia “prendi la tua pedina e piazzala dieci centimetri più a sinistra”, con tanto di carta “se hai raggiunto l’obiettivo […]”. Potremmo premiarlo come gioco più offensivo della storia.
Ovviamente ampia la componentistica, ricca, opulente, che reca una saccocciata di tasselli speciali ad uso esclusivo di tutorial, che toccherete sì e no la prima volta, più probabilmente per gettarli con “ma vaff…” dopo averne compreso l'(in)utilità. Ciò ridurrà in minima misura la durata dei successivi setup, che comunque continua ad essere a rischio di superare la durata di gioco.
Al prezzo di quel cartone ci sarebbero entrate le miniature per i quattro giocatori. “Otto!” mi faranno notare i più attenti lettori che, sebbene abbiano audacemente distinto la versione “maschio” dalla versione “femmina” dei personaggi, vorrei vedere da quale delle due versioni, altrettanto audacemente, accetterebbero un appuntamento.
Passi per il nano, ma che l’apparente fratello maggiore del ranger sia in realtà la sua versione femminile, darebbe almeno da ridire al
Pastore Tedesco, soprattutto ora.

Dopo un’introduzione che in una persona normodotata crea più incertezze e confusioni che altro, il gioco si svela in tutta la sua pochezza: piuttosto che sacrificare un giocatore al ruolo di master si è preferito un’automatismo del tabellone che funge da cronometro a turni per le azioni dei giocatori, basato su di una suddivisione del giorno in sette ore (oh, è fantasy), prorogabile a dieci grazie ad un poderoso sforzo di volontà (eh, ‘sti sindacati), gestisce con semplicità linearità meccanicità programmatica l’avanzamento dei mostri sulla mappa, prima i mostri più piccoli ma dalle regioni di mappa numerate con la cifra più bassa, poi i mostri veloci, sempre partendo dalle regioni con la cifra più bassa, poi quelli medi, poi quelli grossi, poi di nuovo quelli veloci… il tutto seguendo la direzione delle frecce segnalate in ogni regione e scavalcando quelle già impegnate da un altro mostro (ehi, uno alla volta!).
Non avete già voglia?
Per venirvi incontro, la mappa è studiata perché la maggior parte delle regioni indicate con numeri consecutivi siano attigue, tipo le 14, 16 e 17 sono adiacenti l’una all’altra. E la 15? Chiederanno i più attenti? Ecco, cercatela, e buona fortuna.
Ai giocatori viene chiesta, più o meno a sorpresa (ossia se volete perdere contro un pezzo di cartone una volta a caso prima di perdere un’altra volta contro un pezzo di cartone sapendo a cosa andate in contro), una qualche missione, generalmente sul modello pick and delivery (prendi la pergamena e portala al castello, trova pozione ed erba e portale al castello, prendi i potenziamenti e portali ad ammazzare il mostrone, e via dicendo, con esaltanti avventure che a confronto Topolino sembra il Trono di Spade). Tali missioni possono emergere durante l’avventura stessa, che può iniziare, secondo il modello matematico di Hawking, un po’ a caz*o di cane.
I mostri nel frattempo ignorano come e più possibile gli “eroi”, puntando semplicemente ad “invadere” il castello, come un granello di sabbia punta ad invadere la parte bassa della clessidra, con la differenza che almeno la sabbia non la devi muovere tu, e che le parti basse colpite sono quelle della clessidra, non le tue.
Altrettanto possono fare i giocatori, che anzi sono stimolati al non eccedere nei combattimenti, dato che ogni mostro eliminato abbrevia di un turno la partita.
So cosa state pensando, ma se dovete fare così, non giocateci proprio (opzione che comunque suggeriamo con una certa convinzione).
Che fanno i giocatori?
Dipende, il gioco consente una notevole scalabilità. Infatti mentre in due giocatori a turno uno gioca e l’altro si scaccola, in quattro ben tre giocatori possono scaccolarsi contemporaneamente, dando possibilmente origine ad una sorta di coreografia rituale di estrema atmosfera.
A parte questo l’unica differenza è che il castello può “subire un’invasione” in meno per ogni giocatore oltre il secondo, quindi gli eroi devono essere gestiti per far rientrare, nel numero di movimenti contati che hanno, tutte le attività necessarie al compimento delle missioni (ossia muovere o menare).
Mancando un’intelligenza reale per confrontarsi in gioco, questo deve fare sostanzialmente come fanno le “intelligenze artificiali” per aumentare le difficoltà: bara. E lo fa semplicemente avendo una linea di margine d’errore, linea che può essere posizionata talmente bassa da rendere necessarie anche cose come “non sbagliare il lancio di un dado”. Ma questo sta anche alla scelta dei giocatori che, giocando contro un pezzo di cartone, sono altrettanto liberi di “aggiustarsi un po’ le cose”.
Suvvia, siamo sempre italiani.
Qualche evento, pescato qua e là, prova a dare una variabilità alle partite, ma nonostante ciò rimane quella nuova semplicità povertà alla quale la Fantasy Flight pare volerci far abituare, ma senza rinunciare ad un buon numero di FAQ, vero vessillo della casa americana che, se avesse prodotto il gioco dell’oca, ancora uscirebbero correzioni su quando tirare i dadi e quando muovere. Un errore oggettivamente grave se consideriamo il target del prodotto, sarebbe come fare un “salvala vita Beghelli” che necessiti una ricerca su internet per dare l’allarme. Ce la vedo nonna.
Per complicarsi la vita, ma anche per fingere di darne al gioco, il grande illustratore Michael inserisce abilità speciali dei personaggi e la possibilità di comprare alcuni (pochi) oggetti di varia utilità e dal medesimo costo, dal cannocchiale che consente di guardare limitati tasselli nascosti che dovrai comunque raggiungere, al falco che consente di teletrasportare oggetti da un personaggio all’altro in un gioco in cui lo scopo è portare oggetti da qualche parte.
Yeah.
In somma, ormai l’avevamo “giocato”, qualcuno ne aveva chiesto, ecco cosa accade, vi ritrovate a leggere di un gioco da fare quando non avete voglia di giocare ma siete pronti a provare quella frustrazione classica delle situazioni in cui “sai cosa dovresti fare, perché è ovvio, ma semplicemente non ce la fai”.
Che soddisfazioni il gioco.
Buoni propositi per l’anno nuovo, Micheal, dedicare la vita al disegno e, in caso di tempi morti, droghe leggere come tutti gli altri, come diceva mia mamma.
E ancora mi chiedono “cosa ti piace del mondo dei giochi?”…
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