martedì 30 aprile 2013

Clash of Cultures - incidente culturale

L'immagine decisa e belligerante di Iris offerta
dall'occhio di Gianluca Fiore, un'immagine che
rappresenta pienamente lo spirito belligerante
di qualche altro gioco, non questo.
Titolo: Clash of Cultures
Anno: 2012
Autore: Christian Marcussen
Editore: Z-Man
Tipo: gioco da tavolo
Genere: civilizzazione
Tema: antiche civiltà
Meccanica: tipo Risiko, metersi d'accordo.
Giocatori: 2-4
Durata: 150'-270' (si direbbe un'ora a giocatore più "mettili e levali")
Difficoltà: 3/5
Dipendenza dalla lingua: vitale, come dover spiegare ad un medico tedesco che siete stati morsi da un raro quanto venefico esemplare di ragno australiano, cioè, magari sopravvivete, ma in una maniera tale che preferireste di no.
Illustratori: Chris Quilliams, detto "quisquiglia", già premiato per le illustrazioni di Merchants and Marauders.
Gallery

[il Puzzillo]

Approfittando dell'abbandono del progetto d'importazione da parte di Asterion, bloccata da ostacoli tecnicamente insormontabili quali "Ma hai visto quanto costa?!?", ci gettiamo su di una breve analisi dell'ennesimo "quanto mi piacerebbe avere il tempo di giocarlo".
- Quanto mettiamo di durata?
- Bah, segna 3 ore, tanto dopo la seconda perdono il conto.

Parliamo di un gioco della grande scuola danese, autori giovani per idee rivoluzionarie.
Oppure Civilization.

Sul serio, la scuola danese del game design, sul serio. Certo meglio di quella italiana, ma almeno noi abbiamo delle prospettive (lol).

Perché un altro Civilization?
1- perché è il sogno di ogni giocatore farne uno.
2- perché "gli altri" sono obsoleti o troppo complessi e infinitamente lunghi.
3- perché una volta che rinunci alle altre attrattive danesi, tanto vale mirare alto.

E qui la chiave, Chirstian (no, non il figlio di Totti, quello è senza la "h") cerca di semplificare le cose per rendere il classico 4X storico comprensibile e giocabile anche a, tipo, me.




Partiamo dal piatto forte, l'unica vera innovazione del gioco è la plancia degli avanzamenti tecnologici dei giocatori che, oltre a mostrare un tech tree gestibile persino da un bonobo eccitato, si presenta con dei fori per contenere i cubetti che concedono una sicurezza di sé durante il gioco che nemmeno un assorbente con le ali. Questo deve aver conquistato anche l'editore, che ha messo su uno scatolone da più di 250 miniature in plastica, quasi 200 cubetti di legno e altri numeri a tre cifre tra tasselli di cartoncino e carte varie. Questo, o massive dosi di sostanze psicotrope.

Nonostante ciò il gioco sembra avere tutto questo materiale solo durante l'apertura e la chiusura, rendendo il proprietario della scatola qualcosa di più simile a uno scaricatore di porto che a un fine stratega (sia per lavoro che per gergo, aggiungo).
Durante la partita infatti la proporzione tra pezzi utilizzati e pezzi semplicemente esposti alla nerdaggine del tavolo è paragonabile solo a quella tra vestiti provati e vestiti indossati da una ragazza al primo appuntamento.
Tutto sommato però, meglio così, soprattutto data la forgia delle miniature che peccano di fattura in più di qualche occasione, tanto che a prima vista è possibile essere vittima di un flashback alla pulizia delle prime miniature Games Workshop, salto indietro gradevole come un taglierino sotto un'unghia.

La mappa è a moduli da quattro esagoni ciascuno, una forma inconsueta che rende la mappa altrettanto inconsueta, dove a "inconsueta" potete sostituire "del cazzo", ottenendo un'immagine più realistica della situazione. Per il resto nulla di nuovo: tre azioni (le solite) a giocatore per tre turni a round, ogni round un breve briefing con una nuova carta obiettivo, una nuova carta azione e un nuovo avanzamento tecnologico gratuito per ciascun giocatore. Di tanto in tanto un evento.

Non propriamente intuitivo il sistema di requisiti per lo sviluppo delle città, uno su tutti il concetto di dimensione della città, che regola una serie di altre azioni ma che a sua volta è limitato dalla quantità di città controllate. Spiegato così sembra difficile ma sul regolamento è peggio.

L'evento casuale è talmente casuale invece che ben prima della fine delle pagine del regolamento stesso l'autore si sbriga a sottolineare che è possibile giocare con solo parte degli effetti casuali o proprio nessuno, se da fastidio.
Bene, ci piaci così Christian: deciso. Come nelle altre varianti, compresa la variante variabile di fine del gioco.

Quanto casuale è l'evento casuale per poter apparire disturbante? Da "Muori ammazzato di morte mortale tu e tutta la tua città di topi di fogna e in più ti attaccano i bruti" a "Guadagna un paio di avanzamenti tecnologici, offri del pane al tuo vicino e vieni ricompensato con oro pari al peso del tuo maiale più grasso. Se non hai un maiale i bruti te ne portano due.".
Su altre è scritto solamente "shit happens".

Gli eventi vengono recepiti così in maniera diversa a seconda della civiltà di appartenenza, perché, come in Kemet, ogni civiltà ha il proprio colore e ogni colore ha il proprio potere, tipo il verde fa passare la fame, il rosso innervosisce, etc...

Dicevo, nulla di sconvolgente in tema novità, il sistema di combattimento storico come l'ambientazione stessa (tira un dado per ogni soldatino) viene complicato dal concetto di divisione per cinque nel calcolo della risoluzione. Una scelta che, in un gioco che cerca nella semplicità lo spunto sui diretti concorrenti, lascia basiti a lungo, più o meno per tutta la partita, ossia fino al momento in cui ci si rende conto che non si è praticamente mai dovuto usare.
I combattimenti generalmente infatti sono pochi ed essenziali o scontati. Il gioco non sfugge allo stereotipo di genere e vi garantisce il brivido della guerra fredda, quella meravigliosa sensazione della corsa agli armamenti da esposizione, come collezionisti d'armi che l'unica volta che avranno tirato sarà stata per centrare il water.

Gestita quindi in maniera ineccepibile tutta la parte diplomatica e di controllo degli sbilanciamenti comportamentali, dal bash the leader al king making: "Me ne sbatto il kneppe." recita il regolamento nella sezione relativa. La stessa in cui poco prima si specifica che è consentito lo scambio di risorse, ma uno c'ha tanti di quei cazzi che scambiare risorse con altri giocatori è una cosa che ti passa di mente mentre finisci di leggerla sul regolamento, se qualcuno dovesse proporre uno scambio al tavolo sarebbe guardato con più sospetto di uno che avesse chiesto uno sconto da Piperno

Alla fine dei conti Clash of Cultures è proprio quello che ci voleva per poter citare un gioco nuovo di tipo vecchio, tornerà utile negli esempi durante le discussioni sui forum.
Della Danimarca continuiamo a preferire altro.



2 commenti:

  1. Giocato ieri. Carino (come direbbe un caro amico) ma lungo lungo luuungo, tanto che alla fine un giocateore, per la stanchezza, è andato a letto senza pappa.
    Max

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  2. Ennesimo caso di "Mamma mia, come vorrei essere un videogame!".

    Vedremo un designer staccarsi dai "paletti" di Civilization? Pure questo copia un po' di tutto, incluse le faccine felici/scontente, gli alberi tecnologici e via dicendo...

    RispondiElimina

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