Avevamo giocato il prototipo a Essen 2010, e lì pensai "come si può non odiare Richard Garfield?".
Suvvia, ha ideato Magic, è diventato ricco e celebre con i giochi, è sposato con un'orientale, è una persona felice e realizzata; probabilmente il nerd meglio riuscito del creato. Ora, come se ciò non bastasse, ha progettato questo King of Tokyo che farà esclamare a tre quarti degli autori di giochi del mondo "perché non l'ho fatto io?!?", riducendo l'altro quarto delle menti creative in circolazione all'abbandono per disperazione.
La geniale semplicità del gioco è disarmante, il divertimento portato a livelli da prima infanzia e la componentistica urla "giocami!" da ogni parte.
La storia è breve: i mostroni giapponesi si incontrano a Tokyo per darsele di santa ragione e dominare questa città che deve nascondere più di quanto mostri, se perdonate il gioco di parole. In somma Tokyo, la città in cui ogni venerdì è 17, ospita il primo mostro che tra i tre tiri di dadi lanci una bella zampata, e da lì vede gli altri tentare di cacciarlo dalla sua posizione avendolo come obiettivo mentre quello ha tutti gli altri come oggetti dei propri attacchi. Dadi e botte, chi chiederebbe di più?
Noi.
E Garfield che lo sa ci ha messo anche l'energia per acquistare effetti ed abilità, i punti ferita per potere essere eliminati e i punti vittoria per avere un modo di vittoria alternativo.
Un giochino in realtà, ma per 2-6 giocatori a cui è consentito pensare poco, rischiare molto, tirare dadi, dare suggerimenti errati, impersonare grossi mostri e tornare adolescenti per una mezzora. Praticamente quasi una serata in discoteca.
Mettiamola così, se siete dei buoni padroni di casa, sarebbe opportuno farne trovare una copia ai vostri ospiti.
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